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Patto sociale sull'utilizzo consapevole del tempo e delle tecnologie

08/05/2025

È Stretta su social e smartphone: è giusto vietare o meglio educare? Risponde il Cyber Psicologo


L’accorato appello a vietare per legge l’uso dei cellulari fino ai 14 anni e l’iscrizione ad ogni social prima dei 16, due proposte che fanno discutere, portate avanti, ormai da diverso tempo, da alcuni professionisti che hanno posizioni più radicali sul rapporto tra i giovani e lo smartphone. Il Cyber Psicologo Gianluca Frozzi ci spiega perché si tratta di una riflessione che non può essere rimandata. Ma serve un patto per l’uso equilibrato del tempo, del corpo e della tecnologia, sottolinea l’esperto. A Ferrara, il progetto “Alleanza Digitale”, promosso e sostenuto da Fondazione Estense, affronta l’impatto dell’uso eccessivo dello smartphone sugli adolescenti e sui genitori, attraverso un approccio pedagogico propositivo, focalizzato sulla consapevolezza, sull’offerta di alternative, sul recupero della dimensione corporea e spaziale, e sul coinvolgimento attivo della comunità educante.

E’ appello degli esperti: “Vietare lo smartphone sotto i 14 anni e i social sotto i 16”. A chiedere una stretta per legge sono pedagogisti e psicologi con una petizione lanciata a settembre scorso cui hanno aderito anche personalità del mondo dello spettacolo.

La proposta ha immediatamente suscitato un vivace dibattito, polarizzando l’opinione pubblica. Da un lato chi mette in guardia dai pericoli derivanti da una condizione di “iperconnessione”. Dall’altro chi sottolinea come, nell’attuale scenario socio-culturale, le tecnologie digitali rappresentino un requisito imprescindibile, persino per l’iscrizione universitaria.

I sostenitori dell’appello motivano la loro posizione adducendo evidenze scientifiche provenienti dalla neurobiologia. Le neuroscienze, infatti, dimostrerebbero che i processi di socializzazione e di acquisizione di conoscenza subiscono un deficit nel loro pieno sviluppo qualora si verifichi un’esposizione eccessiva a smartphone e piattaforme social. In particolare, si evidenzia come un uso precoce e intensivo di tali dispositivi in età evolutiva possa incrementare l’insorgenza di problematiche quali la deprivazione sociale, la carenza di sonno e la frammentazione dell’attenzione. Il dibattito è aperto anche tra i genitori. Ne abbiamo parlato con un esperto specializzato in psicologia digitale.

Si tratta di un’emergenza Dottor Frozzi? È giusto vietare? O è meglio educare?

Si tratta di un’emergenza, ma educativa – esordisce l’esperto. Come tutte le innovazioni, anche l’avvento dello smartphone a portata di tutti, anche dei minorenni, porta con sé rischi e opportunità. È chiaro quindi che va usato con consapevolezza. Concordo che i neonati non debbano essere esposti agli schermi, e qui la consapevolezza devono averla in primis le giovani madri, evitando, ad esempio, di guardare lo smartphone mentre allattano: le prime interazioni sociali dei neonati, si sviluppano infatti in quei momenti. Questo strumento, ormai nelle mani di tutti noi, fa sì che i bambini inizino a chiederlo in età sempre più precoce. Non sono d’accordo con il divieto, è uno strumento che ormai è pervasivo ma ha delle funzionalità utili in ogni ambito della vita: lavoro, tempo libero, famiglia, ecc. Anche a scuola: è vero che le neuroscienze citano tanti casi di danni in conseguenza all’abuso del digitale, ma ci ricordano anche che il cervello delle Gen Z e Gen Alpha è differente anche a livello neurobiologico, come è differente il loro modo di apprendere. Ritengo che un buon compito di educatori, genitori e insegnanti sia quello di iniziare ad usare insieme ai ragazzi questi strumenti, in momenti protetti e condivisi, in cui il minore abbia l’opportunità di fruire dello smartphone insieme a mamma, papà o altre figure adulte di riferimento. I genitori possono concordare con loro delle attività da fare insieme (es. guardare un video divertente, ascoltare una canzone, un semplice videogioco).

Quali sono i rischi da iperconnessione?

I rischi si verificano quando si lascia lo smartphone a bambini o adolescenti senza prima aver condiviso attività digitali insieme con loro, da dove originino regole di uso concordate. Questi dispositivi sono stati infatti progettati per favorire una sempre maggiore interazione e il rischio è che si sviluppi un cattivo rapporto, con conseguenze negative a livello emotivo e cognitivo. Alcuni esempi: troppo tempo al telefono, troppe notifiche, il continuo scroll di tiktok. Oppure quelle che ho definito “abitudini digitali assorbenti”, che ci incollano allo smartphone, come il “vamping”, cioè restare svegli di notte per interagire con lo smartphone, o la F.O.M.O. ovvero la paura di essere “tagliati fuori” da attività che i coetanei postano sui social e che crediamo essere più interessanti delle nostre. Oppure credere a fake news o a pregiudizi che ci ingannano sulla vita patinata degli altri o su come dovremmo condurre la nostra; ad es. se un mio amico o conoscente ha il profilo social pieno di mete esotiche, penso che passi la vita in viaggio, ma in realtà sceglie lui/lei cosa e quando postare: magari viaggia tre giorni all’anno e nei successivi mesi continua a pubblicare le foto di quei “soli” tre giorni di viaggio.

È vero i rischi sono tanti, ma la proibizione, personalmente, rischia di aumentare ancora di più nei giovanissimi la voglia di avere lo smartphone: piuttosto è meglio educarli a un utilizzo consapevole.

Forse bisognerebbe chiedersi che cosa vanno a riempire questi social. Alcuni esperti sottolineano che il mondo degli adulti non riesce più ad ascoltare i ragazzi e le emozioni “disturbanti” che a volti i figli mettono sul piatto. Che cosa ne pensa Dott. Frozzi?

Premetto che il ruolo di educatore (genitore, nonno, zio, insegnante o operatore che sia), è uno dei ruoli più difficili. La sua domanda però aiuta a ricondurre il problema: i genitori e gli insegnanti prima di tutto devono diventare essi stessi consapevoli di come usano i media, cercando di costruire un dialogo con i giovani. Sia chiaro: viviamo in un’epoca dove è tutto più fast, i giovani usano strumenti che fino a una trentina di anni fa noi (abituati al Nokia 3310 o alla prima “Play”) non ci saremmo neanche sognati, e che gestiscono molto abilmente dal punto di vista tecnico…ma non altrettanto bene dal punto di vista della consapevolezza. Ecco, questo è il terreno dove possiamo ricostruire un dialogo: la consapevolezza, ancora prima dell’utilizzo del mezzo, è relativa alle competenze trasversali: ascolto attivo, empatia, pensiero critico, curiosità di cosa fanno sui dispositivi. Se io sono autoconsapevole di come utilizzo un media, allora so autoregolarmi. 

Se “bollo” a priori come sciocco un comportamento digitale, come ad esempio un video di un influencer, e intimo a mio figlio di smetterla subito di guardarlo, il bambino, e l’adolescente soprattutto, lo percepirà come un bisogno di affermazione negato. E se invece, lo chiamassi in causa, chiedendogli cosa ci trova di tanto interessante in quel contenuto? Approcci come questo favoriscono il confronto, un terreno di dialogo tra generazioni diverse, che hanno idee, abitudini e strumenti diversi. I giovani oggi ci comunicano e si manifestano con questi mezzi di comunicazione: digitale, social, trap. In un’epoca dove le famiglie sono sempre più frammentate, dobbiamo cercare di ricostruire un dialogo positivo tra i giovani e i loro adulti “significativi”.

 

La famiglia da sola non ce la fa, dicono, serve una legge. In molti l’hanno considerata una proposta limitata, dal momento che sono gli adulti per primi ad essere instancabilmente iperconnessi. Forse parlare di un problema, ci permette di dire che esiste il problema, anche nel mondo degli adulti?

Effettivamente penso che negli ultimi anni sempre più genitori stiano progressivamente delegando all’esterno la responsabilità genitoriale: se i figli vanno male a scuola è per forza colpa dei docenti, se stanno troppo attaccati ai media è colpa del mezzo e quindi va proibito, e tantissime altre situazioni analoghe…dov’è finito il confronto? Il confronto costa fatica, ma è il miglior strumento intergenerazionale per esprimerci, condividere esperienze, comprenderci! Proibendo si stabilisce che io ho ragione solo perché sono adulto e tu giovane hai torto e fai quello che dico io. Molti adulti si puliscono la coscienza proibendo e delegando così la loro responsabilità genitoriale.

Come genitore, quali rappresentazioni mentali sulla vita sto trasmettendo ai miei figli? Se torno a casa dal lavoro e sono il primo a isolarmi sui social, se ho un atteggiamento aggressivo sui social, o rispondo al telefono per un’urgenza lavorativa durante i pasti, mentre mio figlio non può toccare lo smartphone, che esempio sto dando? I figli apprendono anche osservando i comportamenti degli adulti: è il modelling di Bandura.

Dobbiamo quindi prima riflettere sul nostro rapporto di adulti con smartphone e device, e poi cercare di comprendere, attraverso il dialogo e la condivisione di esperienze, situazioni nuove: ecco allora che genitori e nonni possono capire insieme a figli e nipoti come funziona un videogioco, cos’è un meme, perchè ci sono rimasti tanto male dopo un commento, perchè seguono quell’influencer che, secondo noi adulti, è tutt’altro che interessante. 

Avventurarsi, insieme ai figli o agli studenti, per le strade del digitale, permette di fare esperienze nuove ed in modalità condivisa e non deve sussistere necessariamente un Virgilio, una guida prestabilita: in questo modo il viaggio sarà occasione di interscambio e sarà arricchente per entrambe le generazioni! Così facendo i giovani probabilmente ricominceranno ad aprirsi di più, restituendo al ruolo genitoriale la funzione di supporto e comprensione. Curiosità e confronto dialettico, piuttosto che divieto e paura, sono le chiavi di questa esperienza.

Una legislazione efficace, più che vietare, dovrebbe orientarsi verso una proposizione equilibrata di opportunità (a titolo esemplificativo l’interazione con i videogiochi permette di sviluppare molte competenze trasversali) e rischi (che ho in parte già sopra descritti), proponendo linee guida operative, magari fondate partendo dall’esperienza di istituti scolastici che già lavorano in questa direzione: a Modena, ad esempio, è stato implementato un protocollo per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito scolastico. Parallelamente sarebbe opportuno istituire percorsi formativi strutturati di educazione ai media, rivolti sia agli adulti sia ai ragazzi, per i quali sono personalmente disponibile a collaborare, al fine di erogare interventi di educazione digitale nell’ambito di scuole, famiglie e aziende.

Infine, sono favorevole ad aumentare l’età di iscrizione sui social, perché ritengo sia necessario aver prima sperimentato competenze emotive, comunicative e di ragionamento critico importanti; magari si potrebbe cominciare col favorire dei semplici videogiochi, dove bambini e adolescenti possano sperimentare, insieme alle figure adulte di riferimento, queste competenze, allenandole per quando potranno iscriversi ai social. Potrebbe essere un’esperienza divertente e maturativa allo stesso tempo.

 

Alleanza digitale e patto di “relazione” per un equilibrio sano tra connettività e realtà

A Ferrara, Fondazione Estense sta conducendo da alcuni mesi il progetto “Alleanza digitale”, patrocinato dal Comune di Ferrara e dal Coni provinciale. Si tratta di un progetto educativo, basato su una pedagogia della proposta anziché del divieto, che se da un lato punta ad aiutare i ragazzi a comprendere l’importanza della dimensione corporea nelle relazioni, dall’altro mira ad offrire agli adulti alcuni strumenti di comprensione del proprio rapporto con la tecnologia, affinché possano essere guide più consapevoli sia con riferimento alle responsabilità nell’utilizzo dei supporti digitali, sia per quanto riguarda  la formazione di un pensiero critico sui media da parte dei loro figli – spiega l’Avv. Marianna Pellegrini, Segretario Generale Fondazione Estense. 

Avviato grazie al coinvolgimento di 19 società sportive del territorio, dallo scorso novembre è stato inserito anche tra le proposte formative degli istituti scolastici di Ferrara e provincia. Attraverso incontri con esperti in classe, mira ad offrire agli studenti strumenti utili per prevenire e contrastare le dipendenze dai device e migliorare la gestione del tempo e del corpo. Il progetto ha come obiettivo quello di supportare i ragazzi nel riconoscere e accogliere le proprie emozioni – prosegue l’Avv. Pellegrini- sostenerli nel loro percorso evolutivo aiutandoli a percepire la bellezza delle relazioni in presenza, individuando analogie e differenze tra reale e virtuale nella sfera affettiva. La squadra di formatori è composta da professionisti in diversi campi, quali: pediatri, pedagogisti, psicologi e psicoterapeuti, sociologi, psicomotricisti, docenti di scuola primaria e secondaria, docenti di scienze motorie e coach ICF. Alleanza digitale è un progetto ampio e articolato, che mira a far crescere una comunità educante, più informata e protetta, in cui famiglie, scuola e società sportive sono alleate nel perseguire il benessere fisico e mentale delle giovani generazioni nell’era digitale, contrastando al contempo il drop-out sportivo che minaccia gli ambienti delle palestre e dei campi di allenamento di Ferrara.

Secondo la sua valutazione e negli incontri con genitori e ragazzi, le persone sanno cosa significhi un uso “consapevole” delle tecnologie?

Il Progetto è iniziato da pochi mesi e forse è ancora presto per un bilancio. Negli incontri per i genitori che ho condotto finora mi è sembrato che si siano sentiti accolti e liberi di esprimere i dubbi e le perplessità che vivono regolarmente quando vedono i loro figli interagire con lo smartphone. Mi è sembrato anche che abbiano apprezzato gli spunti e l’indicazione loro data di svolgere attività digitali insieme ai figli. Come, ad esempio, cercare insieme un influencer che si occupa di cucina per cucinare insieme un piatto nuovo in famiglia: in questo modo il digitale diventa una scusa per condividere attività insieme online, ma anche offline, ristabilendo quel dialogo famigliare, che oggi sembra un po’ perso per la distanza di abitudini e di slang, che stanno creando un divario sempre maggiore con le nuove generazioni. 

Alla fine dei nostri incontri lasciamo ai genitori delle tracce di contratti, una da utilizzare prima di dare il cellulare e l’altra più indicata qualora il cellulare fosse già in uso da parte dei figli: si tratta di bozze di accordi che genitori e figli possono personalizzare per concordare insieme, in famiglia, regole condivise da rispettare, tempi, luoghi e modalità di utilizzo dei device.

Gianluca Frozzi si è soprannominato Cyber Psicologo: che cosa sottende questa referenza e lei di cosa si occupa?

Lo sviluppo tecnologico e digitale sta avendo un impatto sempre più importante e pervasivo nelle nostre abitudini e nella nostra interazione con gli altri. Ormai la nostra vita, come dice Floridi, è onlife: un continuo alternarsi tra momenti offline e online. Lo Psicologo Digitale, o Cyber Psicologo come mi sono rinominato, si occupa del rapporto tra le persone e i fenomeni creati dall’interazione con il digitale, di attività di educazione digitale che favoriscano nelle persone lo sviluppo di un’interazione consapevole con i dispositivi digitali, a partire dallo smartphone. Qual è l’impatto emotivo che mi da un contenuto? Quali sono le strategie comunicative e comportamentali che mi consentono di farla rimanere per me un’esperienza positiva e sviluppare competenze di cittadinanza digitale, piuttosto che scivolare in abitudini disfunzionali e rischi di disagio o psicopatologie, dovute a un abuso o una dipendenza? Lo psicologo digitale si occupa anche di contrastare il tecnostress: avviene quando le persone, soprattutto adulte, ma avverrà sempre di più anche negli studenti, sono troppo sopraffatte e quindi stressate dall’uso delle tecnologie. Per affrontare il problema occorrono tempo, risorse, professionisti e quell’alleanza tra istituzioni, scuola e genitori senza cui l’educazione è destinata ad arrendersi ai divieti soltanto. Indipendentemente dai diversi punti di vista, appare evidente l’urgenza di affrontare la questione, cercando un equilibrio tra la necessità di protezione e quella di permettere uno sviluppo psico-fisico equilibrato, coinvolgendo famiglie, scuole e istituzioni in un dialogo costruttivo.

 

Lei ad esempio quali attività porta nelle scuole e con i genitori per un approccio equilibrato al tema?

Ho un approccio esperienziale, che affianco a tecniche più tradizionali, come colloquio e formazione frontale. Cerco di favorire un clima partecipativo e condiviso, integrando attività analogiche e strumenti/app di didattica digitale. Nei miei interventi solitamente parto facendo riflettere i genitori o i giovani, a seconda di chi viene in consulenza, sul motivo per cui utilizzano lo smartphone o i device, cosa ci fanno, che rapporto hanno, secondo loro, e che rapporto pensano abbiano i loro figli con questi dispositivi. Cerco di capire le dinamiche famigliari: molti genitori riportano la difficoltà a comprendere l’uso che ne fanno i figli, la rabbia dei bambini di fronte al proibizionismo, la complessità di capire il valore che gli adolescenti danno allo smartphone e così via.

Una volta messo a fuoco questo, cerco di fare loro presente quanto sia importante l‘esempio degli adulti di riferimento per bambini e adolescenti: le abitudini e i modelli di comportamento li apprendiamo dall’osservazione dei genitori e il loro supporto, affettuoso e talvolta severo, è fatto di aspetti relazionali e comunicativi, attraverso cui si stabilisce un dialogo e una relazione educante tra permessi e divieti. 

Si lavora inoltre sulla consapevolezza con diversi strumenti. Se ad esempio si è di fronte a difficoltà emotive o comunicative con i contenuti o i social, propongo tavole delle emozioni e/o strumenti specifici, appresi nella mia formazione, come ad es. emotion 3.0 o livestagram, che simula le interazioni in una bacheca dei social network. Se sono di fronte a un eccesso di tempo speso sullo smartphone, introduco degli esercizi per riflettere e bilanciare il tempo passato offline e online, come ad esempio le torte di attività settimanali o attività senza schermi.

Le tecniche e gli strumenti di intervento sono tanti, e dipendono dal tipo di situazione, che sono sempre personali e richiedono azioni personalizzate, siamo tutti diversi. Ma l’obiettivo generale è sempre uno: aumentare la nostra consapevolezza e crescere.

Frozzi